Sinopse
La silloge “Il fiore matto” è frutto dell’amore per la poesia. Il titolo è una provocazione, un ricordo che affiora dalla mia giovinezza, una riflessione sul pensiero di Mario Tobino, scrittore, poeta e psichiatra che mi ha offerto spunto per veicolare questi versi. E’ un semplice omaggio alla “pianta dell’imbecillità”, come lui stesso definiva la Poesia, rea ai suoi occhi d’irretire giovani senza ripagarli della sospirata gloria, di una giusta ricompensa, lasciandoli orfani e sottoposti alla pubblica derisione. Non voglio entrare in merito alla questione, chiaramente Tobino avrà avuto le sue buone ragioni, mi limito solo a scrivere, affido la penna al silenzio dell’anima, non sta a me giudicare. Lascio al lettore la propria valutazione, se apprezzerà i versi “matti” allora anche l’imbecillità avrà un senso. Per correttezza riporto alcune sue parole: “ Che alcuni giovani scrivano le poesie anche questo è un bel mistero. E’ la poesia un male peggiore del cancro, peggio della tisi, che almeno di queste malattie si muore, mentre invece della poesia si soffre soltanto, a meno che uno, rarissimo su milioni, non sia riamato dalla poesia e allora a questo felice e miracoloso mortale la poesia, innamorata, dà fiori, canti, sorrisi, per costui fa danze, e la gioia è in costui, ed anche il dolore per costui è gioia, poiché il dolore del poeta fa canto. Ma costui è l’essere raro, è uno che la poesia ha scelto; e tutti gli altri? I quali pur essendo intelligenti, onesti, sani, belli, e purtroppo innamorati, sono dalla poesia derisi, come sempre suole la poesia?